Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore per non cadere nella trappola di pensare che abbiamo qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.” Tratto dal discorso di Steve Jobs a Stanford (2005)

di Massimo Franchi

Se consideriamo il periodo 1995-2015, l’Italia è per l’Eurostat uno dei paesi sviluppati con la crescita più lenta della produttività del lavoro con un modesto +5% nel ventennio. Al vertice della classifica ci sono gli Stati Uniti, cresciuti di oltre il 40%, e gli altri grandi paesi europei che hanno fatto meglio dell’Italia: Regno Unito +35%, Germania e Francia +30%. Questo dato è preoccupante perché espresso dalla seconda industria manifatturiera d’Europa. Quali sono i motivi di questo disastro? Gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno indicato, in un loro articolo uscito sulle pagine del Corriere della Sera il 21 novembre 2016, queste cause:

  • il nanismo delle imprese italiane, che le porta ad essere meno produttive delle grandi, ed aggiungo, meno capaci di affrontare le sfide globali con i gradi di specializzazione del lavoro che sono richiesti;
  • la proprietà delle imprese che nel caso italiano vede nell’86% dei casi la proprietà famigliare cui è associato il 70% della gestione sempre in carico alla famiglia (in Germania la proprietà famigliare è il 90% mentre la gestione familiare passa al 30%, con una forte delega a manager esterni professionisti che a quanto pare sono in grado di raggiungere meglio gli obiettivi);
  • negli anni sono state mantenute in piedi imprese poco produttive, con bilanci fasulli e senza che i risultati economico e finanziari lo giustificassero, con il solo obiettivo di “tenere aperto”, di “continuare a fare la stessa attività” o “di non avere altre alternative”;
  • il ritardo delle piccole imprese nello sfruttare le innovazioni tecnologiche offerte dall’informatica. Oggi si parla tanto di “Industry 4.0”, ma dobbiamo ricordare che in Italia esistono solo c.a. 3000 grandi imprese e che le Micro e Piccole imprese, che non riescono a proteggersi nemmeno dalle minacce informatiche, difficilmente riusciranno a trarre vantaggi da questi fenomeni;
  • livello medio di istruzione più basso rispetto alla media europea ed investimenti in formazione nelle imprese sotto il minimo necessario che vedono l’Italia fanalino di coda europeo.

Oltre a questi fattori, sui quali l’imprenditore può incidere con le sue scelte strategiche, possiamo ricordare le condizioni che non aiutano a fare affari in Italia, come la mancanza di una strategia industriale, una burocrazia non efficiente, la presenza di grandi organizzazioni criminali, una classe dirigente pubblica non selezionata secondo reali criteri meritocratici, un peso fiscale enorme, infrastrutture pubbliche non sempre adeguate e mal gestite, ecc. Per concludere, una domanda cruciale: quante sono le imprese che annualmente implementano piani di miglioramento basati su una strategia chiara e condivisa e che formano il loro personale sulle competenze verticali ed orizzontali andando oltre i corsi obbligatori di legge?